Rohoingya Refugee Camp - massimoallegroreportage

Vai ai contenuti

Menu principale:

Rohoingya Refugee Camp

Mostre

Kutupalong è il settore principale del Rohingya Refugee Camp, il più grande campo profughi al mondo. I Rohingya, una delle 135 minoranze etniche del Myanmar hanno cominciato a fuggire dal loro paese e a rifugiarsi qui dal 92. Le stime ufficiali parlano di circa 600.000 profughi presenti, ma c'è chi dice che oggi ce ne siano molti di più.
Il campo è stato costruito capanna dopo capanna in una zona collinare che, non molto tempo fa, era una lussureggiante foresta vergine. Oggi è un enorme villaggio di profughi che si estende per decine di chilometri senza soluzione di continuità.
I Rohingya sono stati accolti in Bangladesh per motivi umanitari, in considerazione delle enormi similitudini culturali esistenti fra loro e i bangladesi. Il dialetto parlato nella regionea di Chittagong, città prossima al confine con il Myanmar, corrisponde all'80% alla lingua Rohingya.
Nell''82 la giunta militare al potere in Myanmar approvò una legge sulla cittadinanza secondo la quale i Rohingya furono classificati Bangladesi e conseguentemente gli fu tolta la cittadinanza e i diritti di base.
Da allora in Myanmar i Rohingya, musulmani,
Non possono pregare nei luoghi pubblici,
Non posseggono documenti e sono apolidi,
Non possono accendere fuochi per cucinare e gli è vietato cibarsi di animali,
Non possono andare ne' al college ne' all'Università,
Gli sono state confiscate case e terre. E quelli che non volevano lasciarle sono stati uccisi,
Dal 2012, gli è vietato spostarsi da un villaggio all'altro,
Non possono ricoprire ruoli all'interno dello Stato e non possono abbracciare la carriera militare,
Non possono far parte della polizia e non possono possedere armi.
 
Nell'estate del 2017 la repressione è diventata più dura e in pochi mesi ha spinto 650.000 persone a fuggire per le violenze subite. In quel periodo arrivavano in Bangladesh anche 30-40.000 persone al giorno.
Parlo con l'Imam del villaggio di Buthidong. Suo fratello è stato ucciso con un colpo alla testa e suo cugino con un colpo al petto.
Si calcola che oltre il 90% dei Rohingya che sono qui hanno avuto almeno un familiare ucciso durante le persecuzioni.
L'Imam mi racconta che in Myanmar i soldati sparavano alle persone per strada o nei campi e che famiglie intere venivano rinchiuse nelle case a cui veniva appiccato il fuoco. Allo stesso modo sono state uccise persone negli ospedali, nelle scuole, nelle moschee.
A Muhammed Rafiq, di 17 anni, hanno ucciso il padre e il fratello maggiore. E' qui dall'agosto 2017. Vorrebbe tornare in Myanmar, perchè lo considera la sua patria. La terra dei suoi avi. Ma lo farà solo quando gli verrà restituita la cittadinanza, la dignità, e in totale sicurezza.
Abdel Mannam, insegnante in una piccola scuola di MSF all'interno del campo, racconta che nel suo villaggio di Chitta Furitta, dove vivevano settemila persone, circa cento sono state uccise durante le persecuzioni del 2017. Ma in tutti i villaggi della regione sono state uccise circa 30.000 persone.
Abdel lamenta la scarsa scolarizzazione del suo popolo e ritiene che l'unico modo per proteggere e salvare le future generazioni sia quello di dare ai giovani una educazione di buon livello.
Muhammed Kalud viveva a Puria Bazar ed è arrivato Kutupalong il 25 agosto 2017 dopo tre giorni di marcia nella foresta. Mentre il suo gruppo stava per entrare nella selva sono stati vittime di un imboscata e diverse persone sono state uccise. Muhammed è stato ferito ad una spalla. Non potendo camminare è stato trasportato a spalla dai suoi compagni.
Noor Allam racconta che una notte i militari hanno circondato il suo villaggio di Dumbai e hanno imprigionato gli uomini. Sono entrati nelle case e hanno confiscato tutti i coltelli e gli strumenti di lavoro. Poi hanno liberato gli uomini e se ne sono andati. Questo processo si è ripetuto tre volte in pochi giorni. Infine i militari sono tornati nel villaggio per uccidere gli uomini ormai disarmati e inoffensivi. Inteso cosa stava per succedere, la maggior parte degli uomini sono fuggiti. Nel periodo successivo, credendo che la situazione si fosse normalizzata, gli uomini hanno cominciato a tornare al villaggio. Ma i militari li aspettavano. E quelli che venivano trovati erano freddati o rinchiusi nelle case a cui veniva appiccato il fuoco. Noor dice che oltre centocinquanta famiglie del suo villaggio sono state bruciate in questo modo. Prive della protezione dei propri familiari, molte delle donne del villaggio sono state imprigionate, violentate e fra esse molte sono state uccise.
 
Oggi i Rohingya si trovano in un limbo, indesiderati da entrambi i paesi. Se è vero che il Bangladesh li ha accolti per motivi umanitari, è anche vero che non intende integrarli. Vieta loro di costruirsi una casa vera e propria e gli consente solo di sopravvivere in baracche di bambù e plastica, senza poter uscire dal campo. Non potendo uscire dal campo non hanno accesso ad un'istruzione di livello superiore. Possono solo frequentare le scuole organizzate dalle ONG per una prima alfabetizzazione.
Non possono trovare un lavoro e solo pochi collaborano come volontari con le ONG che svolgono attività all'interno del campo.
Le ONG forniscono cibo, beni di prima necessità, istruzione di primo livello, cure mediche e psicologiche. Quest'ultima è una attività molto importante, perché sono tanti i Rohingya che, in seguito ai traumi subiti e al nulla che hanno trovato in Bangladesh soffrono di depressione.
Pulse Bangladesh, l'associazione che mi ha fatto ottenere il permesso per entrare a Kutupalong lavora per e con i Rohingya. Gestisce una scuola di più classi, insegnando a leggere e a scrivere ai bambini più piccoli, l'uso del computer ai ragazzi un po' più grandi, e insegna a cucire alle ragazze. Oltre alla scuola, Pulse gestisce un piccolo ospedale che fornisce assistenza medica di base a 26.660 Rohingya, curando le patologie che non richiedono una strumentazione complessa. L'ospedale fornisce anche assistenza alle donne in gravidanza e nel primo periodo successivo ala nascita. Infine Pulse gestisce un centro dove insegna ai Rohingya a trattare la depressione all'interno delle comunità e della famiglia.
Girando per Kutupalong si ha l'impressione che il campo sia come un enorme villaggio. I Rohingya hanno cercato di ricostruirsi qui una normalità. Ci sono mercati, negozi, tuk-tuk, e le sedi di tante ONG (nel campo ne lavorano circa 60) ma la vita nel campo non è facile. E soprattutto non è facile vivere senza un lavoro per mantenere le famiglie. I Rohingya ricevono cibo dalle associazioni presentando una tessera. Ogni volta che parlo con qualcuno mi manifesta il sogno di tornare in Myanmar. Il Bangladesh sembra esortare i Rohingya a un ritorno appena questo sarà possibile. Il discorso è trattato dai Media. I Rohingya vorrebbero andarsene e i bangladesi li appoggiano in questo.
I Rohingya non attuano alcuna politica di contenimento familiare. Nel campo la popolazione cresce di 80.000 persone all'anno, per effetto delle sole nuove nascite e a questi si devono aggiungere i nuovi arrivi.
In un campo profughi sovraffollato, situato in un paese fra i più popolosi al mondo, che per densità supera di gran lunga sia India che Cina, ci si domanda cosa succederà in futuro.
Se la politica non riuscirà a risolvere questa questione in tempi ragionevoli, la rapida crescita del numero di persone potrebbe alimentare aspri contrasti fra i Rohingya e i Bangladesi che vivono nell'area.
Il Rakhine rischia di diventare una nuova terra promessa per un popolo che forse non vi tornerà mai.
 
Torna ai contenuti | Torna al menu